Ottimo incontro, lavoro intenso.
Per il momento, sospesi gli esercizi, si va subito sul testo. Per la fine di gennaio
vorrei avere l’opera imbastita e quindi invito i ragazzi a studiare il più
possibile. Faccio un video a Giorgia che legge un breve monologo di Medea. Sono
soddisfatto, c’è una base su cui lavorare: pause, intonazioni, registri,
intensità, velocità… miglioreremo il tutto. Quello che non potrò affrontare è
la dizione. I “perché” e i “mè” sono terribili, ma in una trentina di ore (seguo
il calendario scolastico, se si fa vacanza il laboratorio è sospeso) devo
allestire uno spettacolo di un’ora e un quarto e non mi posso permettere alcun
lusso. Tale, purtroppo, per me, è l’accentazione corretta, dato che do la
precedenza all’espressività, al movimento e alla gestualità.
Dall’inizio, le prime quattro
pagine su sedici. Medea sale sul palcoscenico dalla platea. Suggerisco a
Giorgia di farsi un’idea mentale di strega non disneyana, ma sovrumana, altera
e potente, che genera inquietudine e soggezione. Ripete di nomi dei figli e
vediamo diverse variazioni di voce. È un richiamo terrificante, dato che li spinge
verso la morte. I bambini (che in realtà sono due femmine, Lucrezia e Viola, le
più piccole del gruppo, quarta e quinta elementare) tengono le distanze,
mormorano frasi di diffidenza e ansia. L’attore non è solo artista di voce, ma
di corpo, e soprattutto di corpo-mente-cuore. Le ragazze non hanno mai fatto
teatro e incontrano difficoltà nel capire come muoversi, come spostarsi, dove
guardare, che gesti fare, che cosa dire improvvisando… Il passo di un
dilettante non è mai uguale a quello di un attore, l’occupazione dello spazio è
diversa, la gestione del corpo diversa. Come risolvere la questione di dare un’apparenza
attoriale a chi non ha mai frequentato un corso di teatro? Uscendo dal
mimetismo. Cercando nell’immaginazione un supporto accettabile (Lucrezia e
Viola non riusciranno mai a identificarsi in due bambini che stanno per essere
uccisi dalla madre). Animali, sport, vegetazione… tutto può essere utile per
fornire alla mente un’immagine a cui appigliarsi. Emozioni non dirette (l’infanticidio),
ma trasversali e facenti parte dell’esperienza quotidiana (come suggerisce Stanislavskji).
Raggiungono il palcoscenico.
Medea si accovaccia dietro la scaletta sulla quale è steso un telo rosso la cui
coda attraversa la scena; i bambini si stendono dietro il fondalino bianco,
lasciando emergere solo i piedi. Entra la nutrice e Lucia la rende espressiva
con un tono di voce teso, angosciato. Definiamo l’uso dello spazio. Ecco i
mediatori: recitando, sistemano l’ampio telo bianco che delimita lo spazio a
disposizione degli interpreti definendo così la scena. I mediatori se la cavano
molto bene nel loro rapporto con il pubblico, forti anche dell’esperienza dell’anno
scorso; e Francesco, arrivato quest’anno, è sicuro di sé ed espressivo come se
il teatro ce l’avesse nel sangue.
Il coro è ancora informe. Voglio farne
un’accozzaglia di individui rancorosi e reattivi, una marmaglia cupa sempre
pronta a violenze di ogni genere. Francesco (l’altro) canta con sicurezza, e
quindi riprendendo la forma di recitativo e canto della tragedia greca invito
anche i tre compagni a cantare le loro battute: dal rifiuto iniziale si passa a
“ci provo” e poi tutti cantano con esiti diversi. Le loro azioni sono scandite
dai ritmi dei quattro tamburi dei mediatori e assistiamo alla rissa di strada e
all’incendio del palazzo reale, una specie di balletto con il telo rosso che
vola alto leggero, una danza frenetica saltellata suggerita da Francesco, quasi
un sirtaki greco su una musica mediorientale.
Per concludere, il primo monologo
di Creonte che racconta la morte propria e della figlia. Luca agisce con
prontezza, la voce è credibile. Angelica dopo le prime perplessità si lascia
andare di più e i movimenti atroci di fronte allo specchio cominciano a
delinearsi. Un applauso a tutti.
Arrivano i genitori e parliamo
per una mezz’opera dei costumi. A martedì!
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