Oggi, 15 novembre, ho lasciato a
casa gli allievi “anziani”, a parte Giulio che mi serve come Giasone; così
posso concentrarmi sui nuovi. Un po’ di verifiche: perché la nostra Medea
incomincia dalla fine? Non tutti sanno rispondere, così ripeto l’esempio del
detective. Giunge sulla scena quando il delitto è compiuto; raccoglie indizi e
testimonianze e va indietro nel tempo per ricostruire le “circostanze”. Lo
stesso facciamo noi: portiamo il pubblico a indagare su Medea invitandolo a
farsi un’opinione dopo che ha conosciuto tutto ciò che precede l’assassinio dei
figli. Ripassiamo anche circostanze e situazione. Il sottotesto. Scrivo sulla
lavagna: pause, appoggiature, velocità, tonalità.
Lavoriamo su un’ipotesi di inizio
dello spettacolo, una specie di prologo. Luci abbassate in sala, la scena
vuota. Dal fondo della platea entrano Medea e i due bambini, con una musica antica
assira. Medea mormora “Mermero… Fereto…” con un tono subdolo e spaventoso, da
strega che mangia i bambini; i quali bisbigliano cose tipo “no, mamma… non
vogliamo… lasciaci stare…”: intuiscono che la madre sta per compiere qualcosa
di terribile. Salgono sul palcoscenico, Medea si accovaccia dietro la scaletta,
i bambini si stendono dietro il telo bianco e l’infanticidio è compiuto. Faccio
muovere tutti per l’aula, tutti sono i bambini, io Medea. Sentono la pressione,
vogliono evitare l’ansia, si distraggono, qualcuno ride. Fermo tutto, minaccio
di chiudere il corso. Replica. Bene, benissimo. Lenti, concentrati sulla
propria paura.
Prendo la prima battuta di
Mermero, uno dei due bambini: “Forse, conoscendoci, imparano a volerci bene.”
Così risponde alla madre che denigra il re e gli abitanti di Corinto. Invito a
leggere a turno, cercando una modalità espressiva diversa da quella dei
compagni, utilizzando le quattro voci sulla lavagna. Li guido nell’analisi. Il
passo successivo riguarda un dialogo tra i due figli. Eccolo:
MERMERO Madre, siamo tornati.
FERETO Abbiamo fatto come volevi. Sei contenta?
MERMERO Non odiarci se non vogliamo seguirti nell’esilio.
FERETO Siamo piccoli, abbiamo paura.
MERMERO Come facciamo senza più una casa?
FERETO Il papà ci vuole bene, meglio per noi se restiamo qui.
MERMERO Non dici niente, madre?
FERETO Veniamo a trovarti ovunque ti trovi, lo giuriamo.
MERMERO Siamo sicuri che anche tu potrai farlo, lo chiediamo al re, non è
così cattivo come dici.
FERETO Glauce ci tratta bene, non devi stare in ansia per noi.
MERMERO È una seconda mamma, ce l’ha detto lei.
FERETO Tu puoi avere altri figli, non credi? Così ci ha detto nostro
padre.
MERMERO Madre, di’ qualcosa, ti supplico.
FERETO Se fai così, mi viene da piangere.
MEDEA Andate
in casa. In silenzio. In camera mia. Sul mio letto. Vi raggiungo. Ho qualcosa
per voi. No, non dite niente. In silenzio, ho detto. È una sorpresa. Facciamo
tutto in silenzio. È una cosa che riguarda solo noi.
Li aiuto ad analizzare
le singole battute, scoprendo quali emozioni, sentimenti, atteggiamenti si
celano sotto il testo. Osservo che una battuta non è mai slegata dal contesto e
andiamo a scoprire il gioco di azione e reazione tra loro e la madre: i
conflitti, gli imbarazzi, le paure… Lavoriamo molto sulla battuta di Medea, che
è molto difficile per loro da rendere. Faccio nascere le pause dalle mani e
dalle braccia e propongo di spezzarla in due: nella prima parte è ancora una
madre che però rinnega sé stessa e spezza il legame affettivo trattandoli con
durezza, preparandosi all’omicidio; nella seconda parte la madre si è ormai
trasformata in strega, in una creatura tra l’umano e il divino, legata al mondo
infernale. Leggo io e poi faccio leggere a tutti. Chiedo a Giulio di ripetere
la sua performance e lo riprendo con il cellulare. Degli altri, qualcuno ha
cercato di interiorizzare il mondo complesso e spaventoso di Medea, altri sono
rimasti alla superficie; ma va bene così.
Passiamo a Creonte. Il
nonno di Giulio mi ha preparato la base per lo specchio di Glauce e ha fissato
la cuspide all’elmo che ho trovato in un mercatino dell’usato a Baveno. Lo
fotografo e lo pubblico nel prossimo post. Faccio leggere Luca il monologo
della terribile fine sua e dellka figlia:
“Glauce, mia figlia,
indossa il peplo donato da Medea. Corre allo specchio. Ne vedo l’immagine
riflessa. Sono felice della sua felicità. Qualcosa di terribile. La mia bambina
impallidisce, trema in tutto il corpo, si accascia a terra, la bava alla bocca,
le pupille stravolte. Il diadema portato dai figli di Medea prende fuoco. Un
torrente di fiamme inonda i capelli. Urlando, si rialza, si mette a correre. Scuote
la testa, ma il diadema si fonde alla carne. La inseguo, la afferro. Prendo
fuoco anch’io. Corriamo abbracciati e diffondiamo l’incendio nella reggia. Muoio
così, abbracciato a lei. E lei muore con me. Il mio ultimo pensiero è per la
vendetta: che possano morire anche i figli di Medea, che possa soffrire anche
lei, ma cento volte di più.”
Cerchiamo le pause, la
velocità, costruiamo i movimenti sia di Creonte sia di Glauce. In finale di
battuta, faccio intervenire il coro con alcuni teli rossi che in un girotondo
vorticoso agitano e lanciano come le fiamme dell’incendio. Luca se la cava
bene.
E arrivano i genitori.
“Studiate a memoria! Più che potete!”
A martedì.
Nessun commento:
Posta un commento