La sua ombra è lunga, aderisce alla curva del mondo
spira di serpe: gigante. Non ha piedi d’argilla, poggia su colonne
auree tempio di se stesso a se stesso, ricolmo
di tesori. Il popolo bue accorre in mandria a portargli offerte
illuso di una condivisione promessa: sugli ori vigilano
sacerdoti stupidi, officianti avidi, militi fanatici crudeli.
Osanna osanna, la folla lo esalta immortale taumaturgo onnipotente
ne loda la cinica scaltrezza. Lui ride, una mano sul capo del bambino,
parole rassicuranti, battute di spirito, citazioni insensate e
motti stolti. L’argilla ce l’ha in testa (non ha cuore). La
modella un pensiero perverso illuso di rifare
il mondo a propria immagine.
Ma piove.
Mesta acquerugiola autunnale, refoli freddi mutati presto in vento
di tempesta: oceani d’acqua fustigano la terra, la grandine
gli spacca il cranio.
Si scioglie l’argilla, rivoli di melma
lungo il volto.
Cereo.
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