giovedì 29 novembre 2012
domenica 25 novembre 2012
TOMMASO BANFI STAGE
Tommaso (Lupusagnus, http://www.lupusagnus.com/chi_siamo.html) arriva puntuale con Nenè, il suo husky. Poco dopo, ecco anche Betti. Andiamo subito dai ragazzi che ci stanno aspettando. Gli spiego il piano di regia per "Death watch": tre interpreti (Gilberto, Giovanni e Nicola), ma un unico personaggio, Zaccheo, il condannato in attesa di esecuzione; due musicisti, uno alla chitarra (Carlo) e uno al computer (Lorenzo): una colonna sonora di melodie, ritmi e rumori ambientali. Sul pavimento sono segnate le tre celle che offrono uno spazio d'azione claustrofobico.
Dapprima, lo spazio.
Tommaso fa prendere coscienza della sua estensione, poi dei suoi confini: la camminata da "belva in gabbia" si fa precisa, segnala le distanze e gli angoli, la consistenza delle pareti. La postura, lo sguardo.
I ragazzi camminano camminano... Nelle tre anguste celle nascono stimoli e improvvisazioni: che cosa succede quando ci si trova a contatto? Il muro che divide si disintegra, i ragazzi che s'incontrano ruotano e si ritrovano l'uno nella cella dell'altro: anche nelle condizioni più coercitive si trovano modi per comunicare.
Spazio e corpo: geometrie di spalle e mani che si toccano, di figurazioni a tre per manifestare che la vittima è una, sempre quella, da millenni; ma si moltiplica in continuazione come in un gioco crudele di specchi: io vittima, ti guardo, tu vittima...
Poi, la voce.
La voce che va vicino e quella che va lontano, la voce che rimane chiusa in cella e quella che raggiunge in linea retta il pubblico. La voce sussurrata e gridata, la voce concitata, la voce che spiega, che racconta, che esprime. La voce e la chiarezza: la velocità, la scansione, l'emissione completa della parola...
Un lavoro intenso e prezioso.
Se ne portano via tante idee per la regia e voglia di fare.
A mezzogiorno tutti a pranzo a casa mia: un vassoio di golosità casalinghe portato via ieri sera dall'Artemisia a Mezzomerico, minestrone, patate e gelatina di cipolle, formaggi e gelatina di ribes, brisé di zucchine, i tortini alle mele di Giovanni, una torta al cioccolato con gelato di soia...
E una bella conversazione.
Grazie, Tom.
ARTEMISIA, APPLAUSI TUTTI IN PIEDI!
Cinque ore per allestire
uno spettacolo sono poche, e non assicurano la perfezione. Siamo i primi a
saperlo. Ma siamo anche convinti che molte operazioni di perfezionamento
pignolo e sapiente vengono effettuate su messe in scena scipite, banali e prive
di emozioni. Allora viva questa Artemisia esplosiva, calda, penetrante,
emozionante e commovente! Un'ovazione, la gente tutta in piedi ad applaudire. Alla fine, abbiamo visto gente con le lacrime agli
occhi e se questo non è uno degli obiettivi del teatro… Non abbiamo fatto
piangere con i meccanismi struggenti e inconsistenti di una telenovela, ma con
la verità di un personaggio forte, che non ha mai soffocato i propri sentimenti
e le proprie passioni. L’abbiamo fatto con semplicità, senza presunzioni,
cercando dentro di noi le rispondenze tra parole e stato d’animo, donando al
pubblico la nostra autenticità interiore.
Teatro povero, con
effetti speciali più di idee che di tecnologia. Un gioco tra recitazione e
musica che va alla ricerca del punto di unione, del ritmo che le fonde e si
riverbera nell’animo. Teatro che sorprende, emoziona, affascina, ecco il nostro
manifesto.
Se abbiamo occasioni di
replicarlo, lo perfezioniamo, certo. Ieri sera comunque è piaciuto molto così e
ne siamo contenti. Sono soddisfatto di Laura, davvero appassionata e vera.
Soddisfatto dell’esordio di Carlo e Lorenzo; emozionati, ma calati nella parte da
autentici professionisti. Soddisfatto delle loro straordinarie musiche
originali, un valore che sorprende coloro che ritengono i giovani solo dei
perditempo. Un grazie a tutti i partecipanti.
venerdì 23 novembre 2012
PASSEROTTI 4
I primi risultati,
scaturiti soprattutto dalla spontaneità del bambino, possono dare una falsa rassicurazione.
In realtà, nel bambino non ci sarà una traccia sicura e stabile e la volta
successiva non saprà ripetere la performance. Per stabilizzare l’esecuzione, il
bambino può procedere in due modi: con la memorizzazione precisa di movimenti e
parole, oppure con la comprensione delle regole del palcoscenico, delle proprie
risorse e del modo più efficace di sfruttarle.
La prima via è fattibile,
il bambino è abituato ad apprendere per ripetizione. La seconda via tuttavia
assicura una consapevolezza di sé e un’acquisizione sia di tecnica sia di
cultura di più alto valore.
Il metodo più esaustivo? Percorrere
le due vie, mostrando al piccolo attore come fare e spiegando il perché. Per l’animatore
è faticoso, dato che deve fare da modello per la voce (registro, sonorità,
espressività), per l’emozione espressa, per la gestualità, per il movimento.
Trovare le parole giuste per spiegare concetti astratti rappresenta a volte una
difficoltà, ma le cose fondamentali sono apprese in fretta (no spalle al
pubblico, intensità della voce, la valenza dello sguardo, la chiarezza dell’eloquio,
la duttilità del corpo…).
Ogni ripetizione
consolida e fa scoprire; i bambini arrivano al risultato con i loro tempi
personali e la capacità di apprendimento è così diversa sia in qualità sia in
tempistica che l’animatore non deve stupirsi se uno sembra già un piccolo
attore alla prima prova e un altro ci arriva alla quinta.
Quali difficoltà incontra
il bambino che incomincia un corso di teatro?
Anzitutto, deve
rivoluzionare la propria visione di sé e le modalità di interazione con l’ambiente
e con i compagni. Una bambina riservata, per esempio, si ritrova a dover
sbraitare ordini a un compagno sicuro di sé; un bambino abile a muoversi tra telecomandi,
joystick e tastiere, vede il proprio spazio d’interazione allargarsi e
strutturarsi, costringendolo a una programmazione di movimenti ampi e sensati
che di solito non pratica; una bambina con scarsa capacità di concentrazione
scopre il vuoto nell’attimo in cui non ricorda la parte o la coreografia e deve
quindi apprendere strategie per diventare parte attiva del gruppo e non un
intralcio; un bambino iperattivo si rende presto conto che deve inserirsi in un
meccanismo nel quale contano precisione, sincronia, interazione ordinata e
autocontrollo. E così via.
Prima di cominciare le
prove vere e proprie, si svolgono esercizi per stabilire un rapporto
consapevole e creativo con lo spazio,
il corpo, i compagni. Il luogo del teatro deve diventare un luogo amico, la
libertà d’espressione dev’essere assicurata nel rispetto di quella altrui, le
dinamiche di gruppo devono essere stimolate in modo che s’instauri fiducia e
affiatamento.
Giochi di utilizzo dello
spazio e degli oggetti. Le posizioni sul palcoscenico, rispetto ai compagni e
al pubblico; la distribuzione sull’area; gli spostamenti; con una sedia che
cosa posso fare? Che cosa può diventare?
Molti bambini tendono a
fare sempre cucciolata. Si raggruppano, lasciando ampi spazi vuoti. Se devono
distanziarsi dai compagni, tentano sempre di accorciare le distanze e di
tornare al più presto nella posizione di partenza. Allontanarsi, esprimere
qualcosa al pubblico o al partner, tornare… è sempre metafora di un abbandono.
Fin da subito, infatti, funzionano molto bene le attività di gruppo: una
filastrocca recitata insieme, lo spostamento di tutti, una pantomima… L’interprete
singolo vede la conquista e il controllo dello spazio come una proposta di
autonomia, per la quale non si sente ancora pronto.
Diventa quindi importante
ripetere e ripetere uno schema di spostamenti, operazione che rassicura e
migliora la recitazione. Un po’ come il bambino che per la prima volta affronta
il traffico sulla bicicletta. Fare da solo è eccitante, ma pericoloso. Eppure è
il solo modo per crescere.
lunedì 19 novembre 2012
ARTISTI OGGI
La competizione, la
raccomandazione, la monetizzazione, l’immagine, il carrierismo, la
speculazione, l’egotismo, la manipolazione e così via, sono aspetti della vita
sociale che non risparmiano il mondo dell’arte. Anzi, sempre più la produzione
dell’artista è ripulita da ogni residuo romantico e ridefinita nell’ambito di
un mercato come qualsiasi altro prodotto. Quando parliamo di compravendita,
pensiamo a beni di consumo o d’investimento, ma dobbiamo mettere in elenco
anche gli esseri umani e il loro genio.
Senza pudore, individui
di soldi e di potere ambiscono a comprare, rendendosene padroni (lo schiavismo
ha radici troppo profonde), esseri umani dotati di qualità singolari, siano
essi scienziati, atleti o artisti. In modi diversi, è comunque sempre andata
così. Il padrone poteva anche chiamarsi mecenate, la sostanza non cambia. Oggi,
però, i rapporti non sono più tra persone, ma tra perversioni capitaliste e
produzioni intellettuali.
Chi si propone come
sponsor di un artista può avere un atteggiamento rispettoso e disinteressato,
ma capita di rado. Di solito, chi investe tempo e denari si aspetta un tornaconto.
Alcuni si accontentano della solita tabella degli utili: mi sei costato tot,
devi rendere almeno il doppio. E così libri, film, quadri… sono un
investimento. Va bene.
Altri, però, si
crogiolano in un senso di onnipotenza estetica. Se scoprono un artista, se lo
finanziano, e se l’artista ha successo, operano una sostituzione patetica,
mettendo sé stessi al posto dell’artista. Il ragionamento è semplice: tu sei
artista non per merito tuo o per dono di natura, ma perché io ho proiettato in
te le mie straordinarie potenzialità espressive, dandoti vita come ha fatto Frankenstein. Io, che pago, sono il
vero artista, tu non sei che il mio mostro personale, la macchina che produce
secondo la mia volontà.
Situazione molto pericolosa.
L’artista ha tutto
facilitato, ha soldi, notorietà, successo. Ma deve chinare il capo, subire stravaganze,
cambiamenti d’umore, umiliazioni; deve soggiacere all’incompetenza e all’arroganza.
E soprattutto deve rinunciare al quieto orgoglio di sé fondato sulla libertà
interiore.
Arte di salotti, di
signori presuntuosi, di signore viziate; arte sottomessa alla prepotenza e all’ignoranza
di chi ha dedicato la vita all’accumulo di beni materiali e tratta non solo il
mondo, ma anche la vita nelle sue espressioni più ineffabili, come una proprietà
sottoposta al suo giudizio e al suo capriccio.
L’arte, oggi, spesso, non
è che una scatola vuota.
domenica 18 novembre 2012
ARTEMISIA: LETTURA PANICA
Un primo incontro di conoscenza tra gli interpreti e per tracciare le linee di base; si definisce l'amalgama tra la voce di Laura, la chitarra di Carlo e le musiche originali al computer di Lorenzo. Stamattina la prova con Laura dalle 9.00 alle 10.30 e poi fino a mezzogiorno con i ragazzi per fondere il tutto.
Ecco, la lettura-spettacolo è pronta.
Per la regia ho applicato alcuni principi del "teatro panico" che passo dopo passo sto teorizzando e che si sta rivelando prezioso per dare coerenza e concretezza alla messa in scena.
Anzitutto, ho liberato Laura da ogni velleità di bella espressione, spingendola verso un rapporto ritmico-corporeo con la parola declamata. E' la parcellizzazione del personaggio, considerato non nella sua consistenza monolitica (un carattere durevole nel tempo visto nel suo percorso psicologico), ma nelle diverse situazioni che sono come sfaccettature. Ogni momento drammatico fa personaggio a sé e facilita nello spettatore riconoscimenti e partecipazioni emotive.
Poi, ho legato la voce ora al suono della chitarra ora al brano musicale, ricavandone effetti diversi: la voce come scansione ossessiva corporea, come ritmo rappato, come suggestione quasi jazzistica...
Ho considerato tutte le presenze sul palcoscenico (sempre a vista) come componenti attive e versatili, da utilizzare senza rispettare i canoni. Alla voce femminile ho così unito quelle maschili dei musicisti, che reggono brevi ruoli e leggono poesie d'epoca.
Ho infine preso in considerazione la struttura espressiva generale. All'inizio, il dramma dello stupro, aspro e doloroso; poi la narrazione del periodo felice, di vena brillante e d'invettiva; in chiusura, il patetico del ricongiungimento fisico e affettivo con il padre, che è come lo spegnersi lento di una meteora.
Una lettura-spettacolo di emozioni forti e varie, resa possibile dalla sinergia di tre giovani ricchi di talento e di sensibilità: Lorenzo Crippa, Carlo Fanchini e Laura Fortina.
Il Teatro dei Passeri ha ancora tante cose da dire e da fare.
Grazie, ragazzi.
SABATO 24 NOVEMBRE, Cason di Mezzomerico, ore 16.30.
sabato 17 novembre 2012
L'ATTORE DI DIDEROT
Gli attori del sec. XVIII come li vede Diderot.
"In società, quando non fanno i buffoni, li trovo cortesi, caustici e freddi, un po' esibizionisti, dissipati e dissipatori, interessati, più divertiti dei nostri difetti che colpiti dai nostri mali; sempre imperturbabili di fronte a un caso penoso o al racconto di un triste avvenimento; isolati, vagabondi, agli ordini dei potenti; scarsa moralità, niente amici, quasi nessuno di quei santi e dolci legami che ci accomunano nelle pene e nei piaceri a un altro essere, che a sua volta condivide i nostri. Ho visto spesso un attore ridere fuori di scena, ma non mi ricordo di averne mai visto uno piangere.
Di quella sensibilità che si attribuiscono e che viene loro attribuita, che uso fanno? La lasciano forse sulla scena, quando ne escono, per riprenderla quando vi rientrano? (...)
Si è detto che gli attori non hanno nessun carattere perché, recitandoli tutti, perdono quello specifico che la natura ha dato loro, e diventavano falsi allo stesso modo che il medico, il chirurgo e il macellaio diventavano spietati. Credo che si sia scambiata la causa per l'effetto, e che, se sono in grado di recitare tutti i caratteri, è perché, quanto a loro, ne sono del tutto sprovvisti."
Denis Diderot, Paradosso sull'attore, Editori Riuniti, 2007, pag. 117.
giovedì 15 novembre 2012
PASSEROTTI 3
Ci sediamo in cerchio. Per fare teatro, non devono essere consapevoli solo dello spazio e del corpo, ma anche dei partner. Ci dev'essere una coscienza di gruppo e una conoscenza interpersonale che infonda fiducia e sicurezza. Chiedo loro di esprimere opinioni e impressioni sui compagni. Come al solito, c'è la spaccatura tra maschi e femmine. I maschi ridono, hanno sbalzi d'umore, si muovono senza motivo. Delle femmine i maschi dicono: è tranquilla, non so che cosa dire. L'analisi non è certo approfondita, non ne hanno gli strumenti. Ma li costringe a guardarsi in faccia e a ricordarsi gli uni degli altri.
Bene, al lavoro. Consegno le prime sei pagine di copione. Per un'ora leggiamo. La prima volta per orientarsi, la seconda per dare vita alle parole. Ai bambini non posso dire: esprimi perplessità, manifesta insicurezza con una voce incerta e spezzata, usa un registro sprezzante... Non funziona, non capiscono. Devo dare io l'esempio. Leggo ogni frase non solo con la voce, ma con il gesto, il movimento, la mimica facciale. Ecco, ora identificano con chiarezza che cosa c'è sotto le parole. Ripetono con l'atteggiamento appropriato, rendendo espressiva la lettura. Quando all'esempio unisco un quadro dello stato d'animo e della situazione, lo faccio con termini semplici e diretti.
Abbiamo ancora un quarto d'ora e facciamo una prova. Arrivano alcuni genitori e assistono. Non è una grande prova. Sono distratti e stanchi (sulle spalle hanno una giornata intera a scuola), ma soprattutto hanno il copione in mano. Li invito a memorizzare per metà dicembre, così organizziamo una prova "ufficiale".
lunedì 12 novembre 2012
domenica 11 novembre 2012
PASSEROTTI 2
Entrano svolazzando garruli. Per riportarli nella dimensione teatro, pochi minuti di riscaldamento. A specchio. Mi tocco le parti del corpo e le nomino. In un attimo sono presenti a sé stessi. Approfondisco con il respiro: inspira naso, espira bocca, espira spalle, espira braccia e piegamento... Libertà espressiva: saltelli, smorfie, versi animaleschi... Stop. Lento veloce.
Siamo pronti.
Proviamo quanto costruito la volta scorsa e andiamo avanti. Luca ha tentato di aprire la porta, ma il verso spaventoso di Godzilla lo ha fermato: terrore in sala. Clicco su "Acqua gocciolante" (ho il notebook con casse esterne in cui ho uploadato decine e decine di effetti sonori). Input ad Andrea, per associazione: "E se mi scappa la pipì?". Improvvisano. Poi faccio sentire i latrati furiosi di un cane. Di nuovo paura. Discussione: dietro la porta c'è un cane o un dinosauro? Giada ha paura dei cani: mangiano i bambini. Infatti, si sente il pianto di un neonato, e poi silenzio: l'ha mangiato? Finalmente s'incuriosiscono gli uni degli altri (non si conoscono tra di loro). Si scambiano i nomi, bisticciano... Vengono alla luce i loro caratteri. Un conto alla rovescia crea suspence: che cosa sta per succedere? Una bomba atomica. E poi la sirena della polizia. Hanno dato la colpa a loro? Vengono ad arrestarli? Improvvisamente, trilla il telefono.
La scrittura procede svelta. Le idee sono tante, le gag facili, i momenti di paura si alternano a quelli di trionfo, o di attesa o di sfogo nervoso... Insomma, un sobbollire incessante di nuovi stati d'animo. I cambiamenti repentini di situazioni coinvolgono e offrono spunti interessanti. i bambini si divertono e danno contributi preziosi. Per finire, il gioco del cameriere (memoria e concentrazione): ordinano schifezze al cameriere che deve servire i piatti senza sbagliare.
Ecco i genitori. A giovedì.
sabato 10 novembre 2012
SERATA A PALAZZO BELLINI
Sala piena, più di sessanta persone. Grazie a tutti i presenti (fa piacere che la gente si muova per la presentazione di un libro). Grazie all'amministrazione e alla biblioteca, al duo jazz Paolo Fabbri-Stefano Bobbio, ai signori Gelmini (e ai loro vini), al ristorante Gaia (e alle sue golosità), ai lettori e alle lettrici, a Sergio Plevani e a quanti altri hanno collaborato, tra i quali Jacopo Colombo del museo civico.
venerdì 9 novembre 2012
I SOLITI INCOMPRESI
Uno scrittore è uno specialista in comunicazione. Passa la vita a cercare cose che valga la pena di raccontare e a porsi la questione: come presento questo? come dico quello?
Sperimenta linguaggi nuovi, amplia il lessico, si cuce addosso una sintassi personale, elabora strutture espressive, s'inventa una semiologia esistenziale...
Uno scrittore è un corpo sul tavolo autoptico, a volte già da vivo. Ne sezionano i giorni e le notti, le parole e i sogni. Ne analizzano le lettere, gli scarabocchi infantili, i deliri senili. Esaminano al microscopio le sue relazioni sociali, alla ricerca di virus letali. Ne abusano per spacciare teorie estetiche e formule matematiche di esegetica.
Di tutta la fatica per esprimersi e dell'affaccendarsi critico, in vita e in morte, che cosa rimane a uno scrittore?
La consapevolezza attonita di non essere stato capito da nessuno.Forse è solo un vezzo. Forse nemmeno lui riesce a capirsi. Forse la forza dell'intuizione informe è superiore a quella della razionalizzazione definita e definente. Forse. Forse è una condizione comune a tutto il genere umano.
giovedì 8 novembre 2012
mercoledì 7 novembre 2012
FIABE PER LEONI VENEZIANI
Fiabe per leoni veneziani – sta arrivando from Chagall on Vimeo.
Dieci riletture di fiabe famose.
Il progetto sostiene l’associazione U.I.L.D.M., sezione di Mestre.
Fiabe di:
• Fulvia Degl’Innocenti
• Cristina Marsi
• Francesca Ruggiu Traversi
• Barbara Fiorio
• Deborah Epifani
• M.P. Black
• Claudia Tonin
• Fabiana Redivo
• Aquilino
• Daniele Nicastro
Filastrocche di:
• Roberto Piumini
• Antonia Romagnoli
• Gabriella Sanapo
• Mario De Martino
Illustrazioni di:
• Vincenzo Sanapo
domenica 4 novembre 2012
ARTEMISIA: LA PASSIONE CONTRO LA VIOLENZA
Stamattina dalle 9.30
alle 12.30 ci siamo trovati io, Laura Fortina, Lorenzo Crippa e Carlo Fanchini per
provare “Artemisia: la passione contro la violenza”. Il titolo è cambiato, ma l’opera
rimane quella pubblicata in “Altri testi per il teatro” (Artemisia: le tinte
forti delle passioni), ridotta di un terzo (ho tolto più che altro le descrizioni
dei quadri che saranno però esposte insieme alle riproduzioni). In questo modo,
risulta più in sintonia con lo spirito dell’iniziativa, contro la violenza
sulle donne.
Laura viene introdotta da
Lorenzo (musica sua al computer) al quale si sovrappone Carlo (musica sua con
chitarra classica). La faccio leggere, ma l’interrompo subito: dimentica la
bella lettura elegante, non cercare l’immedesimazione, ma la coerenza con emozioni
e sentimenti. Il primo schema prevedeva inserti musicali strategici, ma ora
gioco con i due tipi molto diversi di musica.
La elettronica accompagna
scene come quella della tortura, risultando molto efficace, dato che richiama
echi suoni cavernosi e metallici e stridere di catene ecc.; gli arpeggi fanno
un tappeto che impreziosisce la voce e le note singole danno un ritmo
pressante.
Metto alla prova i
musicisti sulla declamazione. Lorenzo legge le parti maschili, tra cui quella
in latino dei giudici; con Carlo recita le tre poesie d’epoca che pensavo
invece di non utilizzare. Se la cavano egregiamente, hanno voci calde e
profonde che si alternano felicemente alla tonalità femminile di Laura.
La spingo a sentire il
testo con il corpo, a cercare una scansione di gambe e di voce, e in questo ci
aiutano le composizioni di Lorenzo, così ritmate, e di evocazioni lontane, tipo
il jazz. Lo senti, Laura? Stacca le parole, stai cantando jazz, muoviti sulla
declamazione.
Come al solito, non m’interessa
che al pubblico giungano tutte le parole e che le capisca tutte, dalla prima
all’ultima. Ci sono obiettivi più importanti. Fondere le varie parti con
coerenza espressiva, creare un clima, un’atmosfera suggestiva; soprattutto
provocare emozioni con il gioco dei suoni contrapposti, dei ritmi, degli
spiazzamenti… L’interpretazione naturalistica di un testo ci porta a strillare
sui punti esclamativi, a strascicare la voce melensa sulle narrazioni malinconiche,
a fare i cabarettisti nei momenti brillanti… Bah. Bisogna stravolgere. Cercare
strade non abusate.
Alla fine, sono soddisfatto.
In tre ore abbiamo costruito uno spettacolo basato su un trio di voce, computer
e chitarra. Tra una decina di giorni una prova solo con Laura per raffinare la
voce, poi una prova generale e infine si va in scena, il 24 novembre, a
Mezzomerico.
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