La competizione, la
raccomandazione, la monetizzazione, l’immagine, il carrierismo, la
speculazione, l’egotismo, la manipolazione e così via, sono aspetti della vita
sociale che non risparmiano il mondo dell’arte. Anzi, sempre più la produzione
dell’artista è ripulita da ogni residuo romantico e ridefinita nell’ambito di
un mercato come qualsiasi altro prodotto. Quando parliamo di compravendita,
pensiamo a beni di consumo o d’investimento, ma dobbiamo mettere in elenco
anche gli esseri umani e il loro genio.
Senza pudore, individui
di soldi e di potere ambiscono a comprare, rendendosene padroni (lo schiavismo
ha radici troppo profonde), esseri umani dotati di qualità singolari, siano
essi scienziati, atleti o artisti. In modi diversi, è comunque sempre andata
così. Il padrone poteva anche chiamarsi mecenate, la sostanza non cambia. Oggi,
però, i rapporti non sono più tra persone, ma tra perversioni capitaliste e
produzioni intellettuali.
Chi si propone come
sponsor di un artista può avere un atteggiamento rispettoso e disinteressato,
ma capita di rado. Di solito, chi investe tempo e denari si aspetta un tornaconto.
Alcuni si accontentano della solita tabella degli utili: mi sei costato tot,
devi rendere almeno il doppio. E così libri, film, quadri… sono un
investimento. Va bene.
Altri, però, si
crogiolano in un senso di onnipotenza estetica. Se scoprono un artista, se lo
finanziano, e se l’artista ha successo, operano una sostituzione patetica,
mettendo sé stessi al posto dell’artista. Il ragionamento è semplice: tu sei
artista non per merito tuo o per dono di natura, ma perché io ho proiettato in
te le mie straordinarie potenzialità espressive, dandoti vita come ha fatto Frankenstein. Io, che pago, sono il
vero artista, tu non sei che il mio mostro personale, la macchina che produce
secondo la mia volontà.
Situazione molto pericolosa.
L’artista ha tutto
facilitato, ha soldi, notorietà, successo. Ma deve chinare il capo, subire stravaganze,
cambiamenti d’umore, umiliazioni; deve soggiacere all’incompetenza e all’arroganza.
E soprattutto deve rinunciare al quieto orgoglio di sé fondato sulla libertà
interiore.
Arte di salotti, di
signori presuntuosi, di signore viziate; arte sottomessa alla prepotenza e all’ignoranza
di chi ha dedicato la vita all’accumulo di beni materiali e tratta non solo il
mondo, ma anche la vita nelle sue espressioni più ineffabili, come una proprietà
sottoposta al suo giudizio e al suo capriccio.
L’arte, oggi, spesso, non
è che una scatola vuota.
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