Ho finito proprio adesso “Promaus”. Ora
lo faccio riposare e tra qualche giorno lo rileggo, lo completo, lo perfeziono.
Più lungo dei precedenti (37 cartelle), per tre attori come Cataus, ogni
interprete tre ruoli, è diviso in tre parti (A, B, C), con tre scenari diversi:
la casa delle torture di Mengle e Greta, la sede di Dio, la montagna dell’Aquila.
Il protagonista è uno, ma con tre nomi diversi: Pi, Prom, Prometeo. Bambino,
ragazzo, uomo. Gli altri personaggi sono, oltre a Mengle, Greta, Dio e l’Aquila,
l’amante di Dio Crudelia e il Fuoco.
A prima vista, dà l’impressione di un’opera
costruita a tavolino su uno schema prefissato, e fa temere un’esposizione ragionata
e fredda. Non è così. L’opera nasce da un’intuizione e si sviluppa per proprio
conto, secondo il mio metodo. Anche i personaggi si sono autodefiniti via via
che la scrittura procedeva.
Scenografia: scatole e scatoloni (gli involucri delle libellule), molte
di cartone, alcune di legno sulle quali si possa montare.
Prometeo, dunque. La storia è semplice. Allevato
nella tortura da Mengle e Greta, Pi nasconde uno straziatoio e viene punito con
la cacciata da casa. Conosce il mondo degli uomini, terribile. Viene accolto da
Dio come figlio prediletto: Prom. L’amante divina, però, s’innamora di lui e
viene inchiodata sulla roccia. Prometeo, insieme al Fuoco, vuole liberarla; e
vuole liberare l’umanità dalla tirannia e donare dignità, pace, piacere e
amore. Per liberare Crudelia, deve affrontare Dio; per giungere a lui, deve
ripartire dalla casa del dolore.
Tre opere per definire un metodo. Si è
così concluso il processo che vedeva uno spiraglio aperto nella prima dal quale
si spiava il pubblico-piccioni; un accenno a personaggi esterni nella seconda;
il consolidamento non solo della quarta parete, ma del luogo chiuso nella
terza. Non c’è pubblico, non c’è luogo di teatro, c’è solo un luogo chiuso in cui
si muovono tre attori senza ingressi né uscite, con semplici cambi di costume e
con diversi ruoli. Non c’è nemmeno cambio di scenografia. C’è una dimensione
altrove e spiata, un sogno, un mito.
Ecco, questo è il mio teatro.
Dalla casa dei gatti tutta tenebre e
orrore, nella quale la speranza è una fuga senza meta, alla casa dell’arte;
arte come capacità di mediare e di capire, di esprimere e di liberare; fino
alla casa del dolore, dolore condiviso, che spinge al riscatto con la forza
della passione, dell’amore, del piacere, dell’ideale, della verità. Dalla luce
fioca della prima opera, attraverso le finestre chiuse e poi spalancate e la
visione del mare della seconda, al Fuoco che accompagna Prometeo nella sua
impresa folle e nobile.
“Cataus. La casa dei gatti”, “Artaus. La
casa dell’arte”, “Promaus. La casa del dolore.”
Se qualcuno sentisse la curiosità di
leggere qualcosa, me lo scriva, con la richiesta però di mandarmi poi un
commento anche brevissimo. Il luogo chiuso si apre alla comunicazione.
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