“Death
watch. Pane e lacrime” di Tecneke – maggio 2013
“Death
watch. Pane e lacrime” è un monologo di Aquilino vincitore del Premio Lago
Gerundo e pubblicato da Lampi di Stampa. Zaccheo, incarcerato innocente, diventa
omicida in carcere per difendere la propria dignità di uomo libero. Condannato
a morte.
Un
monologo per tre attori. Anzi, per quattro. Una presenza femminile neutra, che
osserva e ripete parole: la madre evocata da Zaccheo e lo specchio del
pubblico. Anche i due musicisti fanno parte del dramma. Tutti sono Zaccheo, il
protagonista.
Tre
voci presentano l’ambiente, un loculo sotterraneo nel quale si convive e si
sopravvive tra guardie, guerrieri di cella e insetti. Tre voci raccontano le relazioni difficili e sofferte con i
vicini di cella, con il sistema carcerario e con sé stessi. La psicosi è in
agguato, l’obesità anche, e pure la perdita della pietà.
Zaccheo,
però, è un “uomo da poco”. Non si sa difendere dai violenti, ma si sa opporre,
con la propria umanità, alla spersonalizzazione del carcere. Viene incaricato
di cucinare i pasti per i condannati a morte. Egli non solo li prepara con cura,
ma ci versa le proprie lacrime.
Quando
gli propongono l’ergastolo come alternativa, egli rifiuta. Non può trascorrere
tutta la vita sul Pianeta Vendetta, come chiama il sistema della giustizia.
Sceglie di morire, ma a una condizione. Che gli lascino cuocere il pane. Un
pane senza lacrime: non ne ha più. Lo spezza, lo offre a chi è venuto ad
assistere all’esecuzione.
La
regia divide in due parti il monologo.
Nella prima il ritmo è sincopato, i movimenti più convulsi, la recitazione si
muove tra registri diversi. Nella seconda parte, quasi un preludio alla
serenità d’animo di Zaccheo che sta per affrontare il silenzio della morte, il
respiro più ampio e pacato manifesta l’accettazione dignitosa di un destino
ingiusto. Zaccheo non si sente solo. Lo sguardo interiore prende coscienza di
quanta ingiustizia c’è al mondo. Non esprime odio, rancore e ribellione. Le sue
parole sono un atto d’accusa consapevole e composto, ma implacabile.
Tre
interpreti per un solo personaggio, tre celle appena accennate su un tappeto di
pvc nero. Alle sue estremità i musicisti e un leggio. Dietro, una sedia che a
metà rappresentazione ospita la madre. Il suo sguardo impassibile e nitido
sottolinea la ferocia del trattamento subito dal figlio.
I
tre interpreti non hanno come referente il pubblico, al quale volgono anche le
spalle come se non esistesse. Essi dialogano tra di loro e si rivolgono ai
musicisti e alla madre. Vivono in un luogo chiuso da barriere architettoniche,
psicologiche e morali. Non recitano una
parte, la vivono per conto proprio, consci che l’aiuto, più che dall’esterno,
può venire da loro stessi.
Luce
bianca, senza effetti particolari, senza nemmeno cambiamenti.
Corpi
in tuta arancione, musiche al computer contrapposte o armonizzate con la
chitarra, voci di adolescenti e nient’altro.
INTERPRETI:
Nicola Crippa, Gilberto Gerundini, Giovanni Gerundini (Zaccheo); Lorenzo Crippa
e Carlo Fanchini (musica); Alba Galbusera (madre); ottimizzazione movimenti di
Monica Ergotti.
SCENOGRAFIA:
tappeto di pvc 420X210.
MUSICA:
computer, chitarra classica, bongo.
LUCI: due
piantane con due fari da 500 watt o luce bianca in sito.
PALCO: uno
spazio di almeno 5 metri per 3.
DURATA:
un’ora.
TECNEKE: ass.
culturale Arci, Via Repubblica 50, 28047 Oleggio (NO), TEL 0321992140,
3470422513 - C.F. 94069750035.
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