“Death watch. Pane
e lacrime” è un monologo di Aquilino vincitore del Premio Lago Gerundo e
pubblicato da Lampi di Stampa. Zaccheo, incarcerato innocente, diventa omicida
in carcere per difendere la propria dignità di uomo libero. Condannato a morte.
Un monologo per tre attori (dai 14 ai 18 anni).
Anzi, per quattro. Una presenza femminile neutra, che osserva e ripete parole:
la madre evocata da Zaccheo e lo specchio del pubblico. Anche i due musicisti
fanno parte del dramma. Tutti sono Zaccheo, il protagonista.
Tre voci presentano l’ambiente, un loculo
sotterraneo nel quale si convive e si sopravvive tra guardie, guerrieri di
cella e insetti. Tre voci raccontano le
relazioni difficili e sofferte con i vicini di cella, con il sistema carcerario
e con sé stessi. La psicosi è in agguato, l’obesità anche, e pure la perdita
della pietà.
Zaccheo, però, è un “uomo da poco”. Non si sa
difendere dai violenti, ma si sa opporre, con la propria umanità, alla
spersonalizzazione del carcere. Viene incaricato di cucinare i pasti per i
condannati a morte. Egli non solo li prepara con cura, ma ci versa le proprie
lacrime.
Quando gli propongono l’ergastolo come alternativa,
egli rifiuta. Non può trascorrere tutta la vita sul Pianeta Vendetta, come
chiama il sistema della giustizia. Sceglie di morire, ma a una condizione. Che
gli lascino cuocere il pane. Un pane senza lacrime: non ne ha più. Lo spezza,
lo offre a chi è venuto ad assistere all’esecuzione.
La regia divide in due parti il monologo.
Nella prima il ritmo è sincopato, i movimenti più convulsi, la recitazione si
muove tra registri diversi. Nella seconda parte, quasi un preludio alla
serenità d’animo di Zaccheo che sta per affrontare il silenzio della morte, il
respiro più ampio e pacato manifesta l’accettazione dignitosa di un destino
ingiusto. Zaccheo non si sente solo. Lo sguardo interiore prende coscienza di
quanta ingiustizia c’è al mondo. Non esprime odio, rancore e ribellione. Le sue
parole sono un atto d’accusa consapevole e composto, ma implacabile.
Tre interpreti
per un solo personaggio, tre celle appena accennate su un tappeto di pvc nero.
Alle sue estremità i musicisti e un leggio. Dietro, una sedia che a metà
rappresentazione ospita la madre. Il suo sguardo impassibile e nitido
sottolinea la ferocia del trattamento subito dal figlio.
I tre
interpreti non hanno come referente il pubblico, al quale volgono anche le
spalle come se non esistesse. Essi dialogano tra di loro. Vivono in un luogo
chiuso da barriere architettoniche, psicologiche e morali. Non recitano una parte, la vivono per conto
proprio, consci che l’aiuto, più che dall’esterno, può venire da loro stessi.
Luce bianca,
senza effetti particolari.
Corpi in tuta
arancione, musiche al computer contrapposte o armonizzate con la chitarra, voci
di adolescenti e nient’altro.
INTERPRETI: Nicola Crippa,
Gilberto Gerundini, Giovanni Gerundini (Zaccheo); Lorenzo Crippa e Carlo
Fanchini (musica); Alba Galbusera (madre); ottimizzazione movimenti di Monica
Ergotti.
SCENOGRAFIA: tappeto di pvc
420X210.
MUSICA: computer, chitarra classica,
bongo.
LUCI: due piantane con due fari da
500 watt o luce bianca in sito.
PALCO: uno spazio di almeno 5 metri
per 3.
DURATA: circa un’ora.
TECNEKE: ass.
culturale Arci, Via Repubblica 50, 28047 Oleggio (NO).
Tel.
0321992140 (Aquilino) - 3470422513 (Alba) - 3461873758 (Marina). C.F. 94069750035.
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