sabato 25 maggio 2013

PASSEROTTI: APPLAUSI APPLAUSI APPLAUSI


L’esordio dei “Passerotti” di fronte a un pubblico di genitori e amici è stato coinvolgente e convincente. I numerosi bambini presenti si sono divertiti molto e il pubblico ha apprezzato in toni entusiastici un lavoro che fonde teatro mimetico con l’astrazione degli esercizi di tecnica teatrale. Recitazione, quindi, di stampo classico, fusa con la ritmica del corpo e la coreografia su musiche o effetti sonori. Prendo spunto per approfondire due discorsi già iniziati: il rapporto con il pubblico e la partitura ritmica della recitazione.

Durante lo spettacolo, nonostante che in fase di apprendimento si predicasse e praticasse il contrario, alcuni interpreti non hanno resistito dal farsi anche spettatori di sé stessi e dei compagni, staccandosi dal ruolo per osservare divertiti le gag o per rendersi complici del piacere del pubblico, ridendo e rivolgendo sguardi fuori contesto. La pressione emotiva è stata troppo forte, favorita dal debutto in una sala di dimensioni ridotte (un centinaio di posti), stipata di pubblico riconoscibile, con la prima fila di piccoli spettatori a due metri dalla pedana-palcoscenico. Il bambino-attore ha voluto così dimostrare l’empatia per un pubblico che dimostrava in modo caloroso l’apprezzamento. In lui ribolliva un caleidoscopio di emozioni e sensazioni: sono bravo? vi diverto? davvero vi piaccio? sentite com’è divertente? continuate ad applaudire, vi prego! vedrete tra poco! Egli si è trovato a fare i conti con un sé stesso attore, bambino, figlio, compagno e complice, protagonista di un gioco impossibile da tenere tutto per sé, e quindi da comunicare in via diretta agli astanti. Insomma, il teatro in alcuni momenti si è trasformato in una festa in famiglia.
La dimensione dell’approccio diretto interprete-pubblico non disturba lo spettatore e anzi, soprattutto quando si tratta di bambini, lo coinvolge e lo diverte. Lo spettatore non ci vede un’imperfezione, ma lo sfoggio della spontaneità del bambino che, per l’adulto, è sempre spettacolare. 

Ma c’è un punto di vista diverso, quello del Nonteatro, che vede nel rapporto diretto attore-spettatore (quando esula da un piano di regia) una contaminazione della magia scenica, che per un istante viene perfino annullata. E non si tratta solo di ignorare il pubblico, atteggiamento che può scivolare nell’ostentazione e quindi nel rafforzamento della sua presenza, ma di crearsi una forma mentale che riduca la realtà al palcoscenico, negando ogni altra forma di esistenza oltre i suoi confini. Lo sguardo da spettatore dell’attore, che per un momento si fa pubblico, o il suo interagire con la platea, infrange la bolla che separa la scena dalla realtà quotidiana con lo stesso effetto di un risveglio brusco durante un sogno incantevole. Dal teatro magico passiamo al teatro della narrazione, del cabaret, dell’intrattenimento.

Uno spettacolo che dovrebbe durare cinquanta minuti viene ridotto dai bambini a quaranta. Hanno fretta di esprimere la battuta per levarsi dall’impiccio, fretta di arrivare nei brevi spostamenti, fretta di concludere per godersi gli applausi. Ma non è solo questione di fretta. Ogni pausa scenica non dovrebbe essere solo un momento di vuoto (che lo spettatore coglie nella sua inefficacia e ridondanza del niente), ma l’occasione per introiettare un passaggio, per sottolineare con lo sguardo, o un gesto minimo, o anche solo la respirazione l’episodio precedente; o per anticipare il successivo. Siamo nel campo del sottotesto e della pre-espressività. Ma come trasmettere una dimensione tanto irreale e a-fisica al bambino? Come farlo recitare, oltre che con la voce e il corpo, anche con l’animo? Come regolargli la respirazione in modo che coincida con le parole e con le emozioni e i sentimenti? Come parlargli di corpo interiore e di  anima esterna? Ho già scritto che buona parte del training teatrale, con il bambino, avviene per imitazione. Impossibile fargli imitare una disposizione d’animo interiore, invisibile. Ci si può arrivare per gradi. Si parte dal corpo e man mano si procede verso il suo interno, alla scoperta dell’universo nel quale nascono le emozioni, i sentimenti, i pensieri non razionali, i sogni. Il teatro non è solo tecnica. È educazione e conoscenza. E quindi tempo.

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