L’esordio dei “Passerotti”
di fronte a un pubblico di genitori e amici è stato coinvolgente e convincente.
I numerosi bambini presenti si sono divertiti molto e il pubblico ha apprezzato
in toni entusiastici un lavoro che fonde teatro mimetico con l’astrazione degli
esercizi di tecnica teatrale. Recitazione, quindi, di stampo classico, fusa con
la ritmica del corpo e la coreografia su musiche o effetti sonori. Prendo
spunto per approfondire due discorsi già iniziati: il rapporto con il pubblico
e la partitura ritmica della recitazione.
Durante lo spettacolo,
nonostante che in fase di apprendimento si predicasse e praticasse il
contrario, alcuni interpreti non hanno resistito dal farsi anche spettatori di
sé stessi e dei compagni, staccandosi dal ruolo per osservare divertiti le gag
o per rendersi complici del piacere del pubblico, ridendo e rivolgendo sguardi
fuori contesto. La pressione emotiva è stata troppo forte, favorita dal debutto
in una sala di dimensioni ridotte (un centinaio di posti), stipata di pubblico
riconoscibile, con la prima fila di piccoli spettatori a due metri dalla
pedana-palcoscenico. Il bambino-attore ha voluto così dimostrare l’empatia per
un pubblico che dimostrava in modo caloroso l’apprezzamento. In lui ribolliva
un caleidoscopio di emozioni e sensazioni: sono bravo? vi diverto? davvero vi
piaccio? sentite com’è divertente? continuate ad applaudire, vi prego! vedrete tra
poco! Egli si è trovato a fare i conti con un sé stesso attore, bambino,
figlio, compagno e complice, protagonista di un gioco impossibile da tenere
tutto per sé, e quindi da comunicare in via diretta agli astanti. Insomma, il
teatro in alcuni momenti si è trasformato in una festa in famiglia.
La dimensione dell’approccio
diretto interprete-pubblico non disturba lo spettatore e anzi, soprattutto
quando si tratta di bambini, lo coinvolge e lo diverte. Lo spettatore non ci vede
un’imperfezione, ma lo sfoggio della spontaneità del bambino che, per l’adulto,
è sempre spettacolare.
Ma c’è un punto di vista diverso, quello del Nonteatro,
che vede nel rapporto diretto attore-spettatore (quando esula da un piano di
regia) una contaminazione della magia scenica, che per un istante viene perfino
annullata. E non si tratta solo di ignorare il pubblico, atteggiamento che può
scivolare nell’ostentazione e quindi nel rafforzamento della sua presenza, ma
di crearsi una forma mentale che riduca la realtà al palcoscenico, negando ogni
altra forma di esistenza oltre i suoi confini. Lo sguardo da spettatore dell’attore,
che per un momento si fa pubblico, o il suo interagire con la platea, infrange
la bolla che separa la scena dalla realtà quotidiana con lo stesso effetto di
un risveglio brusco durante un sogno incantevole. Dal teatro magico passiamo al
teatro della narrazione, del cabaret, dell’intrattenimento.
Uno spettacolo che
dovrebbe durare cinquanta minuti viene ridotto dai bambini a quaranta. Hanno
fretta di esprimere la battuta per levarsi dall’impiccio, fretta di arrivare
nei brevi spostamenti, fretta di concludere per godersi gli applausi. Ma non è
solo questione di fretta. Ogni pausa scenica non dovrebbe essere solo un
momento di vuoto (che lo spettatore coglie nella sua inefficacia e ridondanza
del niente), ma l’occasione per introiettare un passaggio, per sottolineare con
lo sguardo, o un gesto minimo, o anche solo la respirazione l’episodio
precedente; o per anticipare il successivo. Siamo nel campo del sottotesto e
della pre-espressività. Ma come trasmettere una dimensione tanto irreale e
a-fisica al bambino? Come farlo recitare, oltre che con la voce e il corpo,
anche con l’animo? Come regolargli la respirazione in modo che coincida con le
parole e con le emozioni e i sentimenti? Come parlargli di corpo interiore e
di anima esterna? Ho già scritto che
buona parte del training teatrale, con il bambino, avviene per imitazione.
Impossibile fargli imitare una disposizione d’animo interiore, invisibile. Ci
si può arrivare per gradi. Si parte dal corpo e man mano si procede verso il suo
interno, alla scoperta dell’universo nel quale nascono le emozioni, i
sentimenti, i pensieri non razionali, i sogni. Il teatro non è solo tecnica. È
educazione e conoscenza. E quindi tempo.
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