A Lorenzo Ceva Valla e Mario Garofalo: centinaia di foto, un documentario.
Si aggirano per la sala, sembrano annusare la luce, sono il gatto e la volpe dell’immagine. Qual è il gatto e qual è la volpe non ci è dato di sapere. Tra loro giocano forse a scambiarsi i ruoli: oggi circuisco io l’ombra, tu strusciati addosso alla luce, inteneriscila, fanne una risata cristallina.
Se ne stanno nell’ombra, proprio loro che poi la modellano attorno alla luce come se fosse creta; e ne fanno statue che parlano con lampi negli occhi. Dall’ombra, osservano gli altri muoversi nella luce.
Li spiano come se celassero segreti, li spiano nei loro dettagli più intimi, li spiano nella forma che assumono e nella piega dell’animo, li spiano senza stupore e senza malizia, innamorati della danza dei corpi nello spazio, e delle espressioni che si pitturano sui volti.
La volpe sguscia via tra l’uno e l’altro e nessuno si accorge della sua esplorazione lesta e guardinga: un guizzo, è già sull’altra inquadratura.
Il gatto si conquista le simpatie: qua, micio, fammi un primo piano! E ancora: accarezzami con il teleobiettivo, gattino! E un’altra: il profilo giusto, mio mao, fammi bella!
Il gatto e la volpe sembrano ombre nell’ombra, nessuno fa mai caso a loro, se non quando loro stessi lo vogliono: allora tutti gli si affollano intorno a fare smancerie e assumere pose.
Altrimenti, dal trono della discrezione, affondano le lenti nella carne e nello spirito, colgono l’attimo prima che svanisca per sempre e fanno sberleffi al tempo. Ciò che era una briciola d’oblio diviene l’immagine eterna: nella sua fissità c’è la suggestione della danza e della parola.
E se le immagini sono invece in movimento ecco che la vita ci viene incontro con un abito nuovo, pulito e ordinato. Quello che, nel tempo, era caos e altalena di pieni e vuoti, ora è un fluire elegante ed espressivo.
Tutti applaudono.
Il gatto e la volpe si rifugiano nel silenzio dell’ombra: da lì la luce è più potente.
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