giovedì 24 maggio 2012

CANICANI, IL TESTO


Canicani, come testo, nasce una decina di anni fa. Camminando sulle rive del Ticino, mi imbatto in un cane randagio, poi in un altro. Cani, cani cani, Canicani. Che bel titolo per un’opera di teatro, penso. Ma chi sono i canicani? I bambini, i figli. Una famiglia con figli canicani. E scrivo la storia dei canicani. Anni e anni dopo, Stefano mi propone di metterla in scena, facendone un musical. Il testo contiene già dialoghi in rima e filastrocche, da lì l’idea della musica. Amplio il testo, ricamandolo come un’operetta, giocando con le parole. “Stefano, ti do tanto materiale, troppo per una durata media. Poi ci pensi tu” più o meno gli dico. Lui tuffa le mani nel forziere delle parole e si entusiasma come di fronte a una sfida. L’unico argomento di dibattito  è il finale. Ne viene fuori un finale con effetti speciali, un po’ new age, un po’ Don Giovanni di Mozart, un po’ consolatorio, un po’ speranzoso, un po’… A qualcuno piace, a qualcuno no. Ancora non sappiamo che il finale non ci deve essere. L’opera debutta al Binario 7 nel febbraio 2011. Scrive Gian Paolo Galasi: “Non è possibile prevedere, qualora lo spettacolo arrivasse fisicamente dalle vostre parti, a quali e quanti cambiamenti sarà soggetto.” Profetico. La durata è eccessiva, due ore. Ora, dopo quattro repliche al Teatro Cooperativa, dura un’ora e mezzo. Il finale è scomparso, insieme a due canzoni, insieme a cose belle che Stefano ha avuto il coraggio di potare per rinvigorire una pianta sovraccarica di frutti. Eh, sì, è così che si fa. Troppi frutti, e verranno piccoli e poco saporiti. Meglio rinunciare, sfoltire, cancellare… Fa parte della vita, il sacrificio di vita.
Tagli e ritocchi, ritocchi e tagli, e via via la messa in scena si fa più scorrevole, agile, muscolosa, forte, emozionante. “Una sberla” dice uno spettatore. “Un pugno nello stomaco” dice un altro.
Ma… il testo originale che fine ha fatto?
Non ha fatto una fine, è rinato sulla scena.
Nella mia concezione di “teatro panico”, lo spettacolo non è il testo; non è nemmeno il regista o l’attore “mattatore”; e nemmeno la sinergia della compagnia; è molto di più. La fabbrica dello spettacolo è un impianto complesso, che comprende la compagnia, l’allestimento con scenografie e musiche, il luogo di rappresentazione, il pubblico. Lo spettacolo scaturisce dalle interazioni, altrettanto complesse, tra tutti questi elementi. Quando si produce uno spettacolo che dovrebbe rimanere immutato negli anni, si tende a vedere di più l’immobilità della sua forma definita che non le variazioni dovute ai cambi di sala, di interpreti, di coreografie, recitazione eccetera.
Lo spettacolo non è mai finito e continua a farsi rappresentazione dopo rappresentazione, alla ricerca della propria verità. Fa ciò che ogni uomo dovrebbe fare nella propria vita: non fossilizzarsi mai, ma cercare continuamente come cambiare sé stesso e il mondo in meglio, consapevole che l’ottimo non può esistere e che la sua è una ricerca senza fine, che ha in sé stessa la propria validità e la propria ragion d’essere.
Lo spettacolo, come l’uomo, non si limita a indagare sé stesso attraverso il drammaturgo o il regista, ma si apre a tutte le proprie componenti, cogliendo stimoli e sviluppando intuizioni.
Un dettaglio di scena, la stanchezza di un attore, l’umore del pubblico, una luce sbagliata… tutto può essere notato, valutato e assimilato; tutto può contribuire al nuovo spettacolo della replica successiva.
Non si può quindi dire che il testo si pieghi, umiliato, alla creatività del regista o alle esigenze espressive dell’attore; esso, invece, offre sé stesso per entrare in sintonia con il tutto. E non lo fa per il bene comune, da martire; ma lo fa per il proprio bene; per esplorare e realizzare le proprie potenzialità e per offrire all’autore un percorso di scrittura non narcisistica, ma sempre più efficace e profonda.
In questo atteggiamento “panico”, di accettazione e collaborazione, si sviluppa l’esperienza di fare teatro per il teatro, e non per il protagonismo. Un teatro vivo, che spaventa ed emoziona, che sorprende e coinvolge.

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