giovedì 3 maggio 2012

L’ANGELO DEI MORTI, IL RACCONTO (parte prima)

Sono le ore 21.00, si dovrebbero dare i segnali per invitare il pubblico a prendere posto e spegnere le luci; poi, dovrebbe iniziare lo spettacolo. Non va così. C’è ancora gente nell’atrio, in sala molti sono in piedi, altri si aggirano tra i corridoi per salutare, quasi tutti chiacchierano, il brusio intenso precede il buio dell’attesa, come sempre; qualcuno fissa la scena a sipario tirato: un fondale di plastica semitrasparente (telo doppio copri tutto per imbianchini); una panca di ferro smaltata di bianco; un tavolino ricoperto da un telo candido lungo una decina di metri che finisce in platea; due sedie bianche. Dal fondo avanzano nove ragazzi. Vestono casual, non sono certo qui per una serata culturale. Portano un sacchetto di plastica capiente. Si dirigono verso il palcoscenico, ma ognuno per conto proprio, come se non facesse parte del gruppo. Non fanno caso al pubblico. Nella confusione, in un primo momento risultano quasi invisibili, ma poi vengono notati. Gli sguardi dei presenti si fissano sulle loro schiene. Li seguono fino a che li vedono salire sul palcoscenico. Ma… è cominciato lo spettacolo? Eppure, le luci in sala sono ancora accese. Una svista. I dilettanti ne fanno di sbagli! La gente non sa che cosa fare. Qualcuno si siede. Ma i ragazzi non si mettono a recitare. Con naturalezza, come se fossero in camerino, si spogliano, scambiano qualche battuta a voce bassa, tra sorrisi, o espressioni concentrate, qualche sospiro. Il pubblico, sconcertato, li vede mettersi in mutande, a torso nudo; le ragazze, però, dietro il cellofan. Li vede indossare gli abiti di scena. Li vede scomparire, uno dopo l’altro, dietro il telo di plastica. Ora in platea sono tutti seduti. Sulla scena rimane solo Tommaso-Tomtom. L’Armani è complicato da indossare. Ma lui fa con calma, senza farsi prendere dall’ansia. Ecco, raccoglie gli indumenti da attore, si aggiusta la cravatta da personaggio e scompare anche lui dietro il telo. Sul palcoscenico, finora illuminato solo dalle luci di sala, sale lenta una luminosità di tramonto; le luci di sala si spengono e il pubblico è rassicurato: questo sì che è un inizio di spettacolo. Sboccia, prepotente come un papavero, l’alluvione sonora di un Dies irae. Tre ragazzi alla catena rotolano sull’assito, un demone in elegante completo nero-viola con rosa bianca all’occhiello li controlla: “… tu mi dai tutto di te / e diventi più di un re, / ma ricorda, ciò che è dato / ti fa mio: sei dannato!” La scena è forte, sul telo di plastica acceso dalla gelatina rossa premono le mani dei dannati che emettono lamenti bestiali. Gli attori, per tutto lo spettacolo, se ne staranno lì, dietro il telo. Non possono abbandonare la scena, il testo, i compagni, la recita. Non devono entrare e uscire. Gli attori sono sempre in scena, mentalmente e fisicamente. Non ha senso che con un sospiro se ne vadano tra le quinte (a ridiventare attori? No, no, sono personaggi!) e poi ritornino come se niente fosse, dopo avere magari sbirciato in platea, o spinto lo sguardo oltre il vetro di una finestra, o scambiato due chiacchiere con un tecnico, o pensato ai problemi personali. E tutti collaborano, oh se collaborano! alla riuscita dello spettacolo. Ci sono i cori, le voci, i rumori, i movimenti… Teatro ecosistemico. Sistema aperto. Wikipedia: “Un ecosistema è una porzione di biosfera delimitata naturalmente, cioè l’insieme di organismi animali e vegetali che interagiscono tra loro e con l’ambiente che li circonda. Ogni ecosistema è costituito da una comunità di organismi ed elementi non viventi con il quale si vengono a creare delle interazioni reciproche in equilibrio dinamico.” Spazio, attori, testo, scenografia, oggetti, costumi… Il teatro come ambiente. Determinato l’ambiente, non si può uscirne. L’attore-organismo vive in quell’ambiente. E ci vive in una serie di interazioni (con i partner, il testo, lo spazio, le luci…) che devono produrre quell’equilibrio dinamico giudicato poi dal pubblico in termini di partecipazione emotiva, cognitiva ed estetica. Non c’è teatro se non si stabiliscono le relazioni corrette ed efficaci tra tutti gli elementi che contribuiscono a creare l’ambiente/spettacolo. E questi elementi sono molti e molti di loro sono sottovalutati, come capita in natura, dove l’animale grosso e aggressivo gode di maggiore considerazione rispetto all’insetto o ai minerali del suolo o al filo d’erba. Rispetto per l’ambiente, rispetto per tutte le componenti dello spettacolo. Non esistono solo il regista, l’autore e gli attori. Ci sono i tecnici (Elio, fratello di Tommaso-Tomtom, in una mattinata ha imparato a fare il tecnico luci sotto la guida di Alex, un professionista), le mamme che fanno le costumiste e le P.R., le macchiniste e le impresarie… e i papà che montano e smontano, gli amici che danno una mano e un consiglio… Questo nel nostro teatro, teatro di paese e di gioco. Nel teatro grande sapete tutti quante persone concorrono con la loro fatica e la loro genialità a costruire uno spettacolo. Viva quindi il protagonismo allargato. Nel nostro teatro piccolo, tutti sono protagonisti; e nessuno fa il divo. E questo è rispetto per l’ambiente. (continua)




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