mercoledì 9 maggio 2012

L'ANGELO DEI MORTI, IL RACCONTO (parte quinta)


Rivediamo il racconto. S’intrecciano tre storie. Quella di un angelo ribelle inseguito dall’arcangela (che vorrebbe riportarlo in cielo) e dal diavolo (che vorrebbe corromperlo). Quella di una coppia agiata, Tomtom e Barbi, che a causa della vita criminale di lui (un politico) potrebbe perdere tutto; firma quindi un patto satanico per avere l’Aldilàdisney, il luogo di tutte le felicità. E quella di tre ragazzi che avviano un’impresa commerciale subito fallita: mettere in comunicazione vivi e morti via internet. L’elemento comune è Manga, la prozia evocata, la castigamatti, il deus ex machina che cala dal cielo sulla terra per rimettere ordine in una “umanità degenerata. Sesso da tutte le parti. Sesso e violenza”. Ma il suo intervento non sarà provvidenziale e non risulterà risolutivo. Nessuna morale, nessun ordine, nel finale. Solo le cose messe a nudo: uno spogliarello.
Riordinando. L’onorevole Tomtom rischia di finire in galera e chiede invano l’aiuto di un angelo ribelle, Jehuel, che si fa ospitare da tre ragazzi (Spam, Chat e Bug). Collabora a un folle progetto che riporta in vita la prozia di Spam, Manga. Intanto, l’arcangela Michela prova invano a riprendersi Jehuel, tentato dal diavolo Temebros che approfitta della missione per portarsi all’inferno Tomtom e la moglie Barbi. Manga è scandalizzata dallo stile di vita dei discendenti e si illude di sistemare le cose con il moralismo e l’attività lavorativa: mette tutti a pitturare la casa. L’ultima battuta è sua: “Cambiamo il colore di questa vecchia casa. Era morta, ora è risorta.”
Ma ancora una volta i tre ragazzi infrangono le regole e inducono tutti a scatenarsi come loro. Poi, in un flash di pochi secondi, uno spogliarello lento e seducente. Fine.
Durante la vicenda si assiste ad alcune trasformazioni:
-          l’angelo Jehuel si toglie ali e aureola e indossa abiti umani
-          Tomtom e Barbi si strappano i vestiti, si truccano in modo appariscente e diventano zombi
-          i ragazzi sembrano accettare la disciplina imposta da Manga e si mettono a pitturare (fin che dura)
L’arcangela, il diavolo e Manga non possono cambiare, rappresentano sistemi dogmatici, rigidi. Tutti e tre sono destinati al fallimento e all’avvilimento. Dice Michela: “Una si dà tanto da fare… spadate di qua, spadate di là… e alla fine ha l’impressione che non è servito a niente.”
Hanno avuto tutti e tre la presunzione di porsi al di sopra degli altri, di essere in grado di decidere del loro destino, in base a… a che cosa? A sistemi religiosi che avvalorano la propria verità divina con la durata storica? Che cosa sono duemila anni, se non una frazione minima di tempo? Non sono più antichi gli scarafaggi? Ma non traiamone conseguenze teologiche, per carità.
Possiamo però fare riferimenti alle strategie di messa in scena.
La rigidità dogmatica appartiene a molti registi formatisi in un sistema affascinante e chiuso, perfetto solo per chi l’ha ideato. Sono i registi onnipotenti, unici fruitori di genialità, che manovrano le altri componenti dell’allestimento come pedine su una scacchiera. Ma contro chi giocano?  Solo contro sé stessi. Restii alla collaborazione, chiusi in una turris eburnea, gli occhi brillanti di scintille divine, tormentati e tormentanti, falsi schizoidi, veri paranoici.
Questi registi hanno forme mentali, regole, punti fermi, stili, e pretendono di imporre la loro visione statica ad attori, musicisti e tecnici; ma soprattutto agli autori.
Per loro il drammaturgo esiste solo quando è asservito al regista.  Altrimenti è solo uno scrittore di prosa. Con ferocia e accanimento si dedicano a smembrare, tagliare, accorpare, riscrivere le parole, sempre sicuri di potere fare meglio.
Offrono al pubblico grandi produzioni, ma alla lunga non fanno che ripetere ripetere ripetere.
Porsi al servizio del cambiamento e della trasformazione richiede doti rare: umiltà, modestia, disponibilità, ascolto, accettazione, sincerità. E un io imbrigliato.
Come si può visitare un giardino a testa alta, con atteggiamento sprezzante? Di fronte alla bellezza ci si inchina. E la bellezza non appartiene solo all’orchidea o alla rosa, ma anche al fiore di campo e all’erba selvatica.
Il giardino non è solo estetica, ma vita sotterranea e aerea, fitta e invisibile rete di relazioni, voci misteriose, scoperta e stupore, silenzio, beatitudine, e violenza improvvisa (ci sono anche ragni e gazze!).
Il regista trasforma la parola, la rende visibile; ma deve essere sempre disponibile al cambiamento sia del proprio modus operandi sia di sé stesso. È così fecondo e così appagante, cambiare! È l’unica forma di eternità che abbiamo nella durata breve di vita, il rinnovamento.
Il regista ascolti gli attori, ascolti il drammaturgo, accetti la collaborazione, guardi il mondo non con i propri occhi ma con quelli del mondo stesso.
Diavoli, arcangeli, moralizzatori, istitutori, legislatori e fautori di progresso materiale e di ordine sociale non possono accettare il cambiamento come regola di vita. A parte quello che decretano loro, e che deve poi diventare immutabile status quo.
Il cambiamento è misterioso, non è programmabile. Una volta dichiarata la propria disponibilità, esso può giungere o tardare, al di fuori della nostra volontà immediata. Ma si realizza, e si connatura in noi, e ci rende elastici e sensibili.
Nessun fiore fiorisce per una volontà esterna prepotente e infantile, ma grazie a una sinergia tanto complessa che però ha un nome semplice: vita.



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