Teatro ecosistemico, teatro panico, teatro del giardino.
Ma come fa lo spettatore a esplorare l’ambiente, se è inchiodato alla
poltrona? Come fa a viverlo, se non può spostarsi da un elemento all’altro e
non può alzarsi e abbassarsi, protendersi e allontanarsi?
La magia del cinema ci consente di “esplorare” una storia passando dalle
panoramiche ai primi piani, fino ai dettagli. Possiamo cambiare in un attimo
scenario e passare da una metropoli a un deserto. E anche passare dal giorno
alla notte.
In teatro si utilizzano i fondali, le quinte, le scenografie realistiche o
basate sulle suddivisione dello spazio, le suggestioni delle luci, le musiche,
le proiezioni…
Ma le meraviglie del cinema, sul quale la tecnologia opera a velocità
doppia, non sono duplicabili sul palcoscenico. Meglio rinunciarvi e cercare ciò
che il teatro possiede di esclusivo, facendone il punto di forza.
Cinema e televisione, a differenza della letteratura e del teatro, stabiliscono
con lo spettatore un rapporto ipnotico, nel quale l’immaginazione viene imbrigliata
e canalizzata. L’obiettivo è creare uno stato alterato di coscienza che veicoli
emozioni forti e fugaci, delle quali non si ha piena consapevolezza.
Il teatro deve invece attivare al massimo l’immaginazione dello spettatore
e metterlo in condizione non di identificarsi con il personaggio, ma con l’attore
che lo interpreta.
Nel teatro panico abbiamo visto gli attori comportarsi in modo strano:
accedono al palcoscenico dalla platea, dal mondo reale; rivestono i costumi di scena; si esibiscono
mescolando recitazione, filastrocche, balletti, azioni ritmiche, coreografie… e
infine si spogliano di nuovo, ritornando sé stessi.
Non sembra un rito dionisiaco?
Per chi lo celebrano? Non per il pubblico. Il pubblico è freddo, distante, avvolto
dalle tenebre, inerte, passivo… Gli attori stabiliscono contatti, ma sono quasi
sberleffi, o azioni simboliche che vogliono dire: voi siete là e rimanete là,
questo luogo di riti e fantasie vi è negato.
L’attore, tuttavia, non crede che quello che produce sul palcoscenico sia
davvero la celebrazione di un “mistero”. Non ci sono rapporti con la divinità, nel
teatro panico. Non vi si svolgono riti misteriosi. Non sono previste teologie o
magie. Il rito è teatrale e proietta l’attore in un mondo virtuale con l’obiettivo
di risvegliare l’immaginazione dello spettatore, di renderlo partecipe, di
stimolarne l’atteggiamento critico, di farlo emozionare e pensare, di attivarlo
insomma nel modo più completo possibile.
Ma perché l’attore si rende disponibile a tale fatica?
Il rito che celebra non serve per propiziare la divinità, non gli porta
salute e benessere, non gli fa superare in senso sciamanico la soglia tra i
mondi. Il suo è una ritualità di esplorazione. L’attore parte, visita il
giardino-palcoscenico, stabilisce rapporti con oggetti reali e con altri
immaginari, con un ambiente strutturato e destrutturante, con le suggestioni
degli spazi e delle luci e delle musiche, con altri attori e con altri
personaggi. Egli, interprete-personaggio è in interazione con altri interpreti-personaggi.
Sono interazioni reali (tra interpreti) e irreali (tra personaggi). Sono una strategia
per fondere insieme realtà e immaginazione.
Il giardino di cui si parla offre al visitatore una concretezza di fiori e
piante, definite nelle forme e nei colori; ma anche una suggestione misteriosa
di tonalità e rumori, mentre lo sguardo va dal seme al cielo. Si forma una
visione diversa della realtà, mediata dall’irrealtà. L’attore può guardare il
mondo con occhi diversi, da punti di vista diversi. Può scoprire cose nuove.
Può rendersi protagonista della visione e dell’esplorazione e definire il
proprio viaggio-spettacolo come ricerca di verità.
Tutto qua il rito del teatro panico: la verità sfiorata, intravista,
annusata, percepita sulla pelle, ombra o balenio nel cuore e nella mente.
Spogliarsi e rivestirsi, per partecipare della trasformazione universale, e
sfuggire alla trappola dell’io fortezza.
Nel teatro panico, l’attore invita il pubblico a fare come lui: spogliati e
rivestiti, esplora, emozionati, pensa.
Sentiti elemento di un giardino. Lo vedi? Condividi la terra con tutti gli
altri. Godi dello stesso sole, della stessa pioggia. Ma non sei qui solo per
mettere radici, crescere, fiorire, fruttificare. Sei qui per immaginare. Per
esplorare il giardino. Per sentirti non solo rosa, se sei rosa; ma anche rosmarino,
ciliegio o alloro. Il giardino-palcoscenico è limitato e circondato da muri. Ma
l’immaginazione ti porta oltre le barriere e rende sconfinato il tuo
territorio.
Bella sensazione, vedere sempre più lontano.
Euforia, il teatro panico. Ti porta nelle profondità e poi nel cosmo. La
colonna sonora è il battito del cuore dell’universo.
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