Marco Mojana ha scritto le musiche. L'autore ha scritto i testi, ora filastrocche per esprimere concetti non concettuali, ora versi che facciano fiorire le emozioni, ora il canto dell'anima di un personaggio o l'inno di una metafora. Parole con rime. Metrica. Parole monologhi, parole dialoghi tra i personaggi, parole cantate. Eh, le canzoni. Un personaggio recita le ultime battute, poi canta. Di colpo, la scena cambia. Qualcuno ha aumentato l'intensità della luce? Oppure ha aperto una finestra? Ma... c'è un orizzonte, laggiù? E che cosa... perché la sala vibra? La voce che prima arrochiva o strillava o sussurrava o scandiva secca, ora suona. La voce suona. Pare di vedere le note. Sorgono dal pavimento, spiovono dal soffitto, erompono dai muri, sgusciano dentro dalle fessure delle porte... A una voce se ne aggiunge un'altra. Come nel giardino dell'autore, quando al pettirosso timido si affianca la cinciallegra spavalda, e poi il prepotente verdone e anche il merlo stupido e il curioso fringuello, e lo senti l'usignolo, appartato laggiù? Il canto non è solo voce e suono, è luce e spazio, e quando gli uccelli volano via e in aria rimane solo il dondolio del ramo, che mistero! Il mistero del silenzio, un'altra musica.
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