martedì 18 gennaio 2011

TRILOGIA DELLA FAMIGLIA O DEL LUOGO CHIUSO


Si deve all’intuizione di Stefano de Luca, il regista, se la messa in scena della Trilogia (da lui fortemente identificata e voluta rovistando tra i miei testi) non è legata solo ai personaggi (la madre assassina, lo zio stupratore, il padre sfruttatore), ma anche e soprattutto allo spazio.

In ogni opera si fa riferimento a uno spazio chiuso, un luogo delimitato di volta in volta da parametri diversi, che alla fine si configura come il luogo dove si compiono i crimini: il luogo del dominio dell’uomo sull’uomo.

In “Mamma mammazza”, quasi per fornire un elemento che guidi lo spettatore della trilogia, i personaggi tracciano il quadrato dentro il quale si svolgono le loro vite. Avevo scritto, al riguardo, una filastrocca: “Dentro il quadrato / Piero ci è nato / grida sei pazza / mamma mammazza. / Tra quattro mura / mamma tortura / Piero adorato / muore ammazzato. / Chiara il quadrato / l’ha cancellato / anche se piove / va non sa dove. / Dentro le mura / c’è la paura / l’orco ti chiama / questa è la trama”.

Un luogo chiuso identificabile con l’abitazione, la tana della famiglia, nel quale si nasce e si muore, si vive nell’incoerenza e nel conflitto, si trema di paura e si è torturati. Lo spazio dell’annientamento fisico. La madre afferma: “L’unica strada è qui, dalla cucina al salotto, dal bagno alla camera da letto”. Per lei il mondo non esiste, tutto ciò di cui ha esperienza è all’interno della famiglia-spaziochiuso. E vorrebbe che per i figli fosse lo stesso. Ma per fortuna i figli sanno anche scappare di casa e cercare strade vere, strade che portano a luoghi diversi.

In “Verginella” lo spazio si frantuma, viene annullato e reinventato, si moltiplica grazie allo spostamento di alcune panche: casa, prigione, istituto, metropolitana, parco giochi, chiesa. Diventa lo spazio del disordine mentale, della confusione, dell’impossibilità di costruire i pensieri con logica e verità. Lo spazio chiuso si trasferisce nella mente. Impedisce a Verginella di vedere al di là dei rapporti familiari, alle cui perversioni è incatenata. Ignora che ci sono altri spazi, altre possibilità di vita: lei stessa ha gettato la chiave della propria prigione. Uno spazio chiuso mentale e psicologico. La madre segue lo stesso processo. Si avviluppa nella menzogna e nella paura, esclude dal ristretto ambito del proprio opportunismo concetti come affetto, pietà, verità. E lo zio si costruisce un’armatura per difendere fino in fondo la propria passione illecita e violenta. Nel suo piccolo spazio mentale giustifica sé stesso e anzi si esalta, come salvatore della famiglia. Il proprio egocentrismo dominatore diventa espressione di generosità e altruismo. Lo spazio dell’annientamento psichico.

Anche in “Canicani” ci sono diversi luoghi, ma essi sono strutturati ai fini produttivi. Tutti insieme, diventano fabbrica. La casa, la strada, il ristorante… sono i reparti del business. I canicani escono di casa, vanno a prostituirsi o a drogarsi, rientrano per essere macellati; nascono, vivono e muoiono solo per fornire materia prima, solo per arricchire gli sfruttatori. Com’è possibile che non fuggano, che non si rivoltino, che non cerchino una via d’uscita? Lo spazio, abbiamo visto, è all’inizio quello di una casa, poi diventa spazio psichico, ora si è trasformato nello spazio globale in cui tutto è materia prima, tutto può diventare fonte di guadagno, tutto è mercificabile, anche la carne.

Siamo nello spazio sociale. Lo spazio del capitalismo, dei contratti firmati con l’uomo-macchina, dei doveri senza diritti, del lavoro senza contratto, dello sfruttamento dei tanti per il benessere di pochi. Si può fuggire da uno spazio simile? Sì, con le idee. Contrapponendo alla logica aziendale la logica umanistica, mettendo l’uomo e non il profitto al centro del processo produttivo, facendo nascere una speranza di società diversa. Andando alla ricerca dello spazio aperto, lo spazio dell’armonia e della verità, dove sono assicurate giustizia e solidarietà. Uno spazio di rapporti e affetti veri, nel rispetto reciproco.

Chissà quando questa quarta opera sarà scritta!

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