Annamaria Rossano, Chicce, moglie di Tatù, madre dei canicani. I tacchi altissimi rivelano tutta la sua instabilità. Anche quando mostra il piglio autoritario (con i canicani) o la sicurezza della seduttrice (con Lo), sembra sempre che stia per cadere o per mettersi in fuga. Situazione precaria, la sua. Padrona di casa, non è padrona di niente. Tatù l’afferra, la stende sul pavimento sotto di sé, mima lo strappamento della lingua. Lo fa la corrida, lei grida olé, ma sarà il toro a vincere. Chicce si dà. A Tatù, a Lo, al pubblico.
Per recuperare un’immagine di sé che la gratifichi s’inventa artista e sogna applausi. Eccola ballare e cantare. La casa degli orrori è un palcoscenico di velleità egocentriche e narcisistiche. Ma anche lei è vittima, e lo sa. Quello che non sa è come sfuggire a una realtà in cui comunque si è ritagliata un posto in prima fila. Diventa complice e collaboratrice. Se la vittima fa altre vittime, forse è meno vittima. Così pensa. La vedo tenere i guinzagli dei canicani, comandarli con voce dura. Anche lei è aguzzina e torturatrice. Ne è felice, significa che non è vittima.
Il mondo è dei tre maschi (Tatù, Lo, Burgo) e lei come femmina può solo esibirsi nel vuoto.
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