Fabio Zulli, Canfil, canecane. Se ne sta volentieri ai margini. Assente. La mente altrove. Anche i sensi. Dà l’impressione di non vedere, non sentire. Invece, con la coda dell’occhio spia i dintorni. Spia le persone. Sul chi va là. Da che parte potrebbe giungere la minaccia? Non si fida di nessuno. Nemmeno dei fratelli. Deve pensare a sé, alla propria sopravvivenza. Solo quello conta. Quando gioca, cede al fascino della gioia di stare con gli altri senza pericolo, ma a un certo punto si ritrae, si chiude di nuovo in sé stesso. A volte sembra lui la minaccia. Guarda gli altri come gli aguzzini guardano loro. Forse vorrebbe anche lui scaricare il proprio tormento infliggendo agli altri i patimenti subiti.
Non cerca, come Cancion, il sollievo nell’immaginazione. Lui è concreto e realistico, detesta i sogni. Non cerca, come Canbett, una via d’uscita. Lui è rassegnato. Il mondo è fatto così, c’è chi comanda e uccide e c’è chi obbedisce e muore. Lui obbedisce, ma non vuole morire. Tutto lì. Possono fargli qualunque cosa, anche torturarlo e violentarlo, lui farà di tutto per continuare a vivere. Vivere e basta, anche così, anche nell’orrore.
Nessun commento:
Posta un commento