Tommaso Banfi è Lo, fratello di Chicce, cognato di Tatù. Controlla i canicani, mantiene l’ordine. Lo vedo arrivare con un passo da trampoliere nella stagione degli amori. Sì, la sua è una danza di conquista. Ma anche di morte. Le movenze ora sono quelle di un ballerino di tango ora di un cobra incantatore. La giravolta può preludere all’attacco inatteso: uno scatto, e la vittima si accascia.
Sadismo da intenditore, esteta edonista per paradisi artificiali, cocainomane erotomane, curioso indagatore della sofferenza e della morte. Uccide con il tocco dell’artista, distaccato e appassionato nello stesso tempo. Supplisce alla mancanza di sentimenti con un eros senza confini, la cui immoralità è solo un dongiovannismo bisessuale eppure asessuato. Non cerca il piacere in sé, ma la sottomissione del partner a un piacere mai appagante, che finge solo per portare avanti un gioco di dominio.
Crea la complicità della vittima, portandola a uno stato di quiescenza assoluta. È il suo modo di amare: essere adorato perché temuto, essere idolatrato perché onnipotente. Distaccato, perfino annoiato, ha bisogno di stimoli continui.
E di vittime a non finire.
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